Cesare invitto, ecco pur giunta è l’ora
Autore: Gherardini, Giovanni Filippo
All’invittissimo Cesare Rodolfo secondo. Dice la Flora dell’Arcimboldo, il seguente componimento di Giovanni Filippo Gherardini
Cesare invitto, ecco pur giunta è l’ora,
sotto il divino tuo nume felice,
che con tua vera effigie appaia Flora.
Io fui già fra li dei la più infelice:
or di felicità spero che sia 5
questo principio altier ferma radice.
Qual (lassa!) del mio onor folle bugia
fece ne’ tempi adietro in Roma, strazio
che però agguagliò Polisenna e Argia?
Credulo il mondo per sì lungo spazio 10
brutte legger di me menzogne lassa,
tal che ogni cor gentil n’è schifo e sazio;
ma, se del tuo favor non farò cassa,
già ne la bella Insubria un pio scrittore
per me l’amica mano al vero abbassa. 15
Dirò intant’io che il vario mio colore
ogni grado, ogni sesso et ogni etate
orna e ricrea col suo soave odore;
e senza me men grata ogni beltate,
ond’hanno de’ miei doni eterna brama 20
l’alta ricchezza e l’umil povertate.
E se la indegna turba che non ama
poco forse gli apprezza, i’ sprezzo lei,
che non conosce gentilezza o fama.
Spargo, compongo e tesso i doni miei 25
a nozze, a ogni gentile e a le pulcelle
in nembi, in cespuglietti et in trofei;
tutte le cose al fin leggiadre e belle
godon de l’odorata mia famiglia:
mense, archi, letti, altar, scettri, fiscelle. 30
La primavera candida e vermiglia
è celebre per me, ma qual stagione
il dolce vago suo da me non piglia?
Pietoso Augusto, è ben dunque ragione
che col tuo impero spegner facci omai 35
la falsa di me avuta opinione.
Canteranno altri spero meglio assai
le devute mie lodi e de’ mie’ onori
al mondo scopriranno i chiari rai;
ma da tua mano invitta questi fiori, 40
di cui formata vedi la mia imago,
cheggion l’emenda di sì gravi errori.
Or, mentre tu del tuo Arcimboldo il vago
ingegno peregrin riguardi e ammiri
ch’a te m’invia del tuo piacer presago, 45
io che tal man mi pinse e ch’or mi miri
un tanto imperator me ’n vado altiera
e tale il mio sembiante par che spiri.
Non ebbe effigie mai sì rara e vera
di scarpello o pennel l’etate antica, 50
quando fiorì la più lodata schiera:
per me Palla e Giunon l’invidia intrica
Giove, Vener, Amor, Cerere e Marte,
poi che a lor non toccò sorte sì amica.
Ma ben conviensi a le sì lunghe sparte 55
lagrime mie questa sì gran mercede,
ch’io gusto ma non so spiegarla in carte.
Cesar, teco ora qui fermerò il piede,
florida sempre al caldo e al freddo cielo
e quando parte il sole e quando riede; 60
non temono i miei fiori arsura o gielo,
né mai perdono il verde le mie fronde,
né mi fa il volger d’anni cangiar pelo.
Stanco de gli alti affar da le grav’onde,
potrai, mirando me, qualche ristoro 65
a quel gran spirito dar che in te s’asconde.
Son vaghi e proprii i fior, raro è il lavoro
e tuo chi ’l fé, io tua, tuo servo e umile
chi mi dà il favellar con te, ch’io adoro.
Gradisci dunque me, l’opra e lo stile 70
ma via più i cori di chi pinse e scrisse,
Cesare sopra ogn’altro alto e gentile,
e vinci quel che tanto seppe e visse.
Descrizione
Nel componimento viene data la parola al ritratto della dea Flora (realizzato da Giuseppe Arcimboldo nel 1589 su commissione di Rodolfo II d’Asburgo). La dea si rivolge direttamente all’imperatore e in particolare al v. 42 viene menzionato il pittore milanese che, presago di fare cosa gradita al sovrano, gli invia il quadro a corte. Flora è orgogliosa del fatto che è stata dipinta da un tale artista e che sarà ammirata da un grande imperatore: l’arte dell’Arcimboldo supera quella degli artisti antichi («non ebbe effigie mai sì rara e vera / di scarpello o pennel l’etate antica», vv. 49-50) e gli dei della classicità non poterono vantare la fortuna di avere un tale pittore che li raffigurasse. Il dipinto arcimboldesco, inoltre, non è soggetto al passare del tempo, come afferma la stessa dea Flora: «nè mai perdono il verde le mie fronde / né mi fa il volger d’anni cangiar pelo» (vv. 62-63).
Opera d'arte
Bibliografia
-
Berra, Giacomo, L'Arcimboldo "c’huom forma d’ogni cosa": capricci pittorici, elogi letterari e scherzi poetici nella Milano di fine Cinquecento, in AA.VV., Arcimboldo. Artista milanese tra Leonardo e Caravaggio, Ferino-Padgen, Sylvia, Milano, SKIRA, 2011, pp. 283-313
(pp. 297-299)
- Libro
-
Gherardini 1591
All'Invittissimo CESARE RODOLFO SECONDO. Componimenti sopra li due quadri Flora et Vertunno, fatti a Sua Sac. Ces. Maestà da Giuseppe Arcimboldo Milanese, In Milano, appresso Paolo Gottardo Pontio, 1591
- Pagina
- cc. 12r-13r
- Metro
- capitolo in terza rima (73 versi)
- Note metriche
- Presenza di una rima derivativa fra v. 2 e v. 4. Presenza di rima inclusiva fra v. 20, v. 22 e v. 24; fra v. 44 e v. 46 e fra v. 62, v. 64 e v. 66. Presenza di rima ricca fra v. 29 e v. 31 e fra v. 32 e v. 34
- Categorie
- encomio d'artista; ritratti; miti pagani; soggetti naturali
- Soggetti
- Amore; Argia; Cerere; Flora; Giove; Giunone; Giuseppe Arcimboldo; Insubria; Marte; Pallade; Polissena; Rodolfo II d'Asburgo; Roma antica; Venere; ammirare; colore; effigie; fiore; immagine; ingegno peregrin; mirare; opra; ornare; pennello; pingere; primavera; scalpello; sembiante; stile; vago ingegno
- Nomi collegati
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Rodolfo II d'Asburgo
(Personaggio citato e committente dell'opera d'arte)
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Rodolfo II d'Asburgo